Abusivismo nel recruiting professionale: come le aziende possono evitare di cadere nella trappola

Tra consulenza strutturata e deontologia professionale: un’ introduzione al tema

Abbiamo iniziato a conoscere Andrea Giusti innanzitutto come presidente della nostra Associazione fino al 2021, e abbiamo avuto modo di lavorare con lui a molti temi, come la definizione della consulenza di direzione in antitesi al classico approccio di fornitura di servizi per la ricerca e la selezione di personale, e come la deontologia professionale, come insieme di principi guida che da sempre hanno guidato la nostra Associazione.

Proprio questi due elementi chiave ci hanno portato a una nuova riflessione, condivisa durante un’intervista in cui si è parlato di abusivismo della professione recruiter.

L’abusivismo della professione è un fenomeno da non sottovalutare negli ambienti aziendali, ma anche a fondamento della cultura manageriale, sopratutto perché da un lato risulta molto diffuso, mentre dall’altro è sicuramente un argomento poco dibattuto nel settore.

Così, attraverso il punto di osservazione privilegiato nel settore, e non solo in quanto Managing Director di Profili, Andrea ci ha introdotti alla prima definizione e alla comprensione di un argomento molto importante per il settore e per tutti i professionisti che vi lavorano: le forme di abusivismo nelle pratiche di ricerca e selezione di personale per aziende.

Ecco di cosa abbiamo parlato.

Intervista ad Andrea Giusti, Managing Director di Profili

Abusivismo nel settore delle risorse umane

“Come faccio a distinguere un professionista strutturato, metodico, serio, da uno non professionalizzato, improvvisato, ma che mi offre le stesse soluzioni del primo, magari a un costo inferiore?”: probabilmente, se parliamo di forme di abusivimo nella ricerca e selezione delle risorse umane, questa sarebbe la prima domanda che ci rivolgerebbe un manager al momento della valutazione dei criteri per la scelta del consulente giusto per la sua azienda.

inizia Andrea, spiegando in cosa consista il fenomeno. “E noi comprendiamo benissimo la difficoltà, per un’azienda, di decodificare adeguatamente alcuni elementi che fanno parte del nostro lavoro”. Quando si parla di abusivismo non si parla soltanto di procedure e standard qualitativi, come stiamo per scoprire, ma anche di impatto nel mercato del lavoro: entriamo, infatti, nel merito anche della concorrenza sleale, della parzialità dei risultati, del lucro cessante, il tutto a danno non solo dei competitor, bensì delle aziende clienti e, naturalmente, di tutti i lavoratori.

Proviamo allora a definire il fenomeno dall’alto. Coach di carriera, rete di amici e conoscenti, tuttofare in azienda: sono alcuni esempi di coloro i quali a volte offrono soluzioni per il reclutamento di nuovo personale per un’attività. Ci sono, tra questi, degli “abusivi” che un’azienda può subito riconoscere?

No. L’abusivismo della professione non è legata – o non solo – alle pratiche di raccolta CV e recruiting di vario personale, ma a tutto il lavoro svolto da una società di consulenza e selezione delle risorse umane, strutturata da metodi oltre che abilitata da autorizzazioni ministeriali, certificazioni relative standard e procedure, nonché dalla riconosciuta expertise della squadra di consulenti coinvolti.

In tal senso, per esempio, il passaparola all’interno della rete professionale di contatti non va intesa come una forma di abusivismo, anzi, può essere un buon modo per costruire un portfolio professionale.

Parliamo, insomma, di un fenomeno davvero sottile, eppure una volta acquisiti gli strumenti culturali adatti per decifrarlo, risulterà di immediato riconoscimento.

Esatto, ecco perché con l’Associazione CRESCITA abbiamo intrapreso questo percorso di informazione e diffusione di temi verticali nella cultura del lavoro che possano risultare utili a tutte le aziende e, perchè no, avvicinare e coinvolgere tutti i professionsiti del settore che vogliano strutturarsi meglio per mettere a disposizione il proprio contributo.

C’è un modo, allora, per comprenderne l’origine?

Molte volte le organizzazioni sono prese da necessità specifiche, legate all’urgenza di colmare un vuoto improvviso nel team oppure gestire di un alto turnover che le caratterizza.
Ciò le spinge a cercare velocemente una soluzione, che la quasi totalità delle volte non passa per uno screening di competenze interne necessarie a soddisfare gli obiettivi aziendali, ovvero viene a mancare di una riflessione adeguata capace di ottimizzare anche il budget investito per la ricerca di una nuova risorsa. È in queste fratture estemporanee che si inserisce la carta jolly del freelance economico piuttosto che di una coppia di “consulenti” capace di portare sulla scrivania qualche CV in pochi giorni.

C’è un noto caso di studio dell’Harvard Business School che analizza proprio il comportamento di un’azienda quando sceglie di reclutare personale, attivando il passaparola: MookaAuto

Sì, una storia anche abbastanza recente: siamo nel 2016 e, in quella circostanza, il CEO di Moonka Automobile, una concessionaria di veicoli a due ruote per Honda Motor Company, stava affrontando alcune decisioni difficili riguardo al reclutamento per la nuova filiale in India. Le sue intenzioni erano di migliorare il processo di reclutamento dei venditori per questa seconda filiale ma, oltre ai vincoli di un budget ristretto, di un tempo e di una disponibilità di gestione limitati e della necessità di completare il reclutamento rapidamente, le sfide del proprietario includevano anche l’identificazione delle conoscenze, delle abilità e delle attitudini che doveva cercare nei potenziali venditori; aveva bisogno di incoraggiare i candidati appropriati a fare domanda per il posto di lavoro e migliorare il processo da seguire per il reclutamento, che evidentemente era stato fino a quel momento un problema alla base di questa situazione.

Il proprietario di Moonka Auto non voleva certo affrettare la selezione e finire per assumere dipendenti inadatti come in passato, in quanto trattandosi dell’apertura di una seconda filiale, avrebbe potuto avere conseguenze gravi per l’azienda. Ma, allo stesso tempo, aveva bisogno di far partire subito le vendite: ma come poteva bilanciare le sue molte responsabilità e allo stesso tempo trovare i giusti venditori per la nuova apertura? Ebbene: ha ripetutamente attivato prorio la sua vecchia “strategia”, passando per la richiesta di CV attraverso conoscenti, per creare la sua squadra di commerciali. Gli risultava ancora la strada più veloce ed economica pur non risolvendo l’alto turnover, e non raggiungendo, di conseguenza, gli obiettivi di fatturato.

A proposito di settori, ce ne sono alcuni nei quali la pratica scorretta da parte di presunti recruiter è più diffusa?

Direi di no, è più una differenza legata alle funzioni in azienda che ai settori produttivi.
Di sicuro Moonka Auto ci offre lo spunto per fare luce, ad esempio, sui dipartimenti vendite delle aziende, probabilmente i più colpiti, ma anche l’IT management rientra tra questi: è importante sottolineare che l’abusivo non opera secondo la logica dei settori, quanto quella di utilizzare i “punti deboli” dell’azienda cliente.

Abusivismo della professione recruiter

 

Nel caso studi appena menzionato ritroviamo, infatti, tutti gli elementi classici di questa situazione: oltre a urgenza, tempi e budget ristretti, tra i nervi scoperti di una selezione ci sono anche la fase di profilazione del candidato adatto, la sua ricerca, la quale a sua volta non consiste nella mera raccolta di CV che l’azienda dovrà leggere e valutare, in quanto è un compito che rientra nell’incarico del recruiter.
Ci sono poi gli aspetti più legati alla consulenza organizzativa, quindi alla messa a punto di obiettivi aziendali e strategie di costruzione del team e delle competenze più adatti a soddisfarli.

Quali sono le conseguenze per un’azienda che dovesse cadere nella trappola dell’abusivo?

Di solito un freelance che cerca di posizionarsi nel settore, oltre alla struttura mancante, non potendo avere tutte competenze che gli servirebbero per gestire le esigenze di una consulenza e selezione del personale, lascerà scoperto gran parte del lavoro. Infine, anch’esso soffrirà degli stessi problemi di fretta dell’azienda, in quanto avrà bisogno di trovare presto un nuovo cliente: in questi scenario, anche quando un reclutamento di personale dovesse andare a “buon” fine, è difficile immaginare un risultato di lungo periodo o una forma di scalabilità, con la conseguenza di una cattiva reputazione a danno di tutto il settore.

In tal modo, le aziende con questa esperienza finiscolo col perdere la fiducia verso la nuova offerta di progetti in consulenza per le risorse umane e, soprattutto di fronte alla richiesta di investimenti maggiori rispetto a quelli che può chiedere un abusivo, così potrebbero addirittura scoraggiarsi e rinunciare del tutto a intraprendere quel percorso, per loro invece necessario.
Ed ecco perché torna importante il tema dell’informazione e della diffusione di dati su questo tipo di fenomeni, come noi ci stiamo impegnando a fare con CRESCITA.

C’è uno strumento di tutela per i professionisti delle risorse umane, di fronte all’abusivimo?

Oltre alla cultura, di cui parlavamo poco fa, un altro strumento efficace potrebbe essere quello normativo: un esempio ci viene offerto dalla Svizzera, che rientra tra i paesi tutelativi. In tutto il territorio elvetico, infatti, viene impedito l’operare di società che operano nell’ambito della consulenza e della selezione di risorse umane straniere.

E segnalare l’abusivismo può servire?

Preferisco parlare di controllo: la segnalazione appare più come una forma punitiva, accanita, di prendersela con i “nani” che operano nel settore. Da una parte, infatti, ci sono i competitor “dolosi”, coloro i quali lavorano al di fuori delle normative, e operano con comportamenti discutibili pur di portare a casa il risultato, a danno di tutto l’indotto dei professioniti. Essi andrebbero distinti, d’altra parte, dagli abusivi “spontanei” o “ingenui”, magari chiamati da altri ad assolvere a funzioni che non competerebbero loro, e che spesso scelgono di aprire una partita iva più per necessità che per scelta.

Far luce su questi aspetti, per CRESCITA, significa anche dare l’opportunità ai freelance del settore di entrare in una rete professionale capace di dare informazione, formazione e struttura.

Mancanza di autorizzazioni ministeriali, struttura, procedure e standard qualitativi, concorrenza sleale, parzialità dei risultati: c’è ancora qualcosa che un’azienda, scontrandosi con l’elevata offerta, può riconoscere per  scegliere correttamente un professionista?

Sì, anche gli approcci sono molto differenti: di solito un abusivo è incline a sposare la logica del success fee, cioè farsi “pagare per il successo” della selezione. Un’azienda, come tutti i soci CRESCITA, propongono soluzioni consulenziali e lavorano in una logica di retainer fee, prestando un servizio continuativo che si basa sulla relazione con il cliente, che va  in profondità rispetto alla fase finale di presentazione di una rosa di candidati selezionati, e passa per l’analisi della posizione, l’analisi del fabbisogno aziendale e l’analisi del contesto organizzativo.

I comportamenti derivano dalle competenze che si sono maturate nel mondo del lavoro: un vero professionista si caratterizza sempre da quel mix di valori, formazione, esperienza professionale ed etica che lo farà distinguere da tutti gli altri, e sarà pronto a dire “no” quando sarà necessario.