Carriere femminili, differenze salariali e nuove professioni: a che punto siamo in Italia

Carriere femminili, differenze salariali e nuove professioni: a che punto siamo in Italia

Intervista a Laura Iacci, AD di Skill Risorse Umane e socio CRESCITA

Potremmo definire quella di Laura Iacci una “razionale passione”: in tutto quel che ci ha raccontato nella nostra intervista telefonica, e che vi proponiamo con questo articolo di approfondimento, ciò che emerge in maniera prevalente è l’arte dell’equilibrio. Non è facile infatti, parlare di temi tanto inflazionati come le carriere femminili o le diversità di trattamento economico tra uomini e donne, soprattutto in Italia.
La testimonianza di Laura di Skill Risorse Umane, associata CRESCITA, è quella di differenziare i team – come fanno nell”azienda che ha fondato e che guida ormai da vent’anni – mixando opportunamente non solo le competenze, ma anche le quote “azzurre” tra tutte quelle “rosa”, per evitare una cieca rincorsa formale verso team al femminile e ottenendo una forma di esclusione al contrario.
Già con l’approfondimento dedicato alle competenze che dovrebbero guidarci in futuro avevamo presentato il contributo di questo socio con la parola chiave “Resilienza”: oggi entriamo ancora più nel merito dell’argomento per parlare del rapporto tra generi e mondo del lavoro.

Negli ultimi anni, in Italia, non si fa che parlare di differenze salariali tra uomo e donna, soprattutto ai livelli professionali più alti: trattandosi di un tema storico, dal tuo punto di vista, discuterne è solo una nuova moda, oppure c’è qualche cambiamento in atto?

Ritengo che questa sia una domanda complessa a cui rispondere, e che ci spinge a parlare di più elementi connessi tra di loro: innanzitutto facciamo i conti con un gap di genere verso le cosiddette professioni STEM, le quali danno accesso alle carriere nell’ambito tecnico-scientifico, che sono poi anche le carriere più retribuite. Su queste, pecca molto l’orientamento scolastico, per il quale sono le donne a pagare più spesso il conto della scelta sbagliata.
La scuola, infatti,  suggerendo percorsi che il mercato del lavoro non ricerca o che non sono legate al genere, come convenzionalmente si crede, spinge ad esempio più spesso le ragazze verso discipline umanistiche che scientifiche.

Un secondo elemento di cui tener conto è il welfare, che in Italia ancora non dà alle famiglie gli strumenti adeguati per conciliare i tempi di vita e di lavoro, con conseguenze dirette rispetto alle scelte che fanno molte donne.
Insomma, il tema della disparità salariale è assolutamente attuale, e in Italia ci tocca particolarmente. Ma è qualcosa che parte dall’accesso alle professioni e va compreso a livello culturale perché nessuna Legge, per quanto possa accelerare verso un trattamento più equo e inclusivo, può garantire il risultato di una concreta maggiore parità tra i generi.

Mi colpisce molto che tu abbia parlato di “famiglie” e non di “donne” quando hai accennato agli strumenti di welfare che abbiamo a disposizione…

I figli non sono di tutta la famiglia? In altri Paesi d’Europa è finalmente normale, tanto a livello sia legislativo quanto culturale, concepire l’alternanza tra madre e padre nella collaborazione familiare quando arriva il neonato.

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E cosa pensi della Legge sulle Quote Rosa?

Penso che questa legge sia un utile strumento e che se ci aiuta, in Italia, a ottenere risultati come quelli dei modelli anglo-sassoni, allora ben venga.

Una legge sostituirà le logiche di merito nel mercato del lavoro?

Tutti gli aiuti, in questo senso, vanno intesi come “strumenti”, come opportunità che finalmente oggi anche alle giovani donne vengono offerti, e che le precedenti generazioni non avevano a disposizione.
Ma bisognerà sempre dimostrare di essere le persone giuste al posto giusto, indipendentemente dal genere di appartenenza. Un diritto alla carriera non è in automatico un privilegio.

Sono felice che, come madre oltre che come professionista donna, io abbia potuto portare il mio contributo per aiutare la generazione di mia figlia, lavorando in battaglie culturali ed educative che era giusto affrontare. Ma ho lavorato anche per riuscire a darle un migliore orientamento scolastico e trasmettendole una cultura del lavoro di taglio imprenditoriale, per la quale sei chiamata ad esprimere competenze non solo tecniche ma anche personali.

Pensi ci siano differenze di taglio culturale in riferimento alle carriere femminili  se, ad esempio, allarghiamo la visione anche al mercato del lavoro di altri Paesi?

Ce ne sono, e gli Usa e il  nord Europa continuano ad essere i migliori esempi di una cultura del lavoro premiante anche per le carriere femminili.
Pensiamo agli elementi chiave di questa cultura: approccio orientato al risultato, strategie di conduzione aziendale, misurazione oggettiva e non discrezionale dei risultati, misurazione anche qualitativa delle relazioni, che è un concetto estraneo al nostro Paese, ma importantissimo, ad esempio.
La stessa cultura delle risorse umane è aperta alle misurazioni in questi mercati, e trovo che sia un ulteriore elemento di grande innovazione anche culturale da portare in Italia.

Ma ci sono esempi virtuosi anche nel nostro Paese, sappiamo di non essere  proprio gli ultimi della classe.

(Laura ride, ndr) No, non siamo gli ultimi della classe. E posso confermare che anche noi abbiamo molti esempi virtosi.
Posso portare la mia esperienza personale parlando di ciò che osservo accadere nel nord-Italia, che è l’aria in cui prevalentemente lavoro: sempre più donne sono alla guida di team e aziende, in un processo di inclusione “forzata” per via delle skills tecniche che le nostre giovani professioniste finalmente manifestano con forza.

Per non parlare della capacità smaliziata di condurre bene tutta la fase di interviste, negoziazione, presentazione in azienda, finendo col sapersi vendere molto meglio di altri candidati, abituati forse alle regole del mercato del lavoro di una generazione fa.

Credo che gli elementi di cui abbiamo parlato poco fa, l’approccio goal-oriented, la scelta di alcune competenze particolari, la misurazione dei risultati oggettivi, sono quegli elementi su cui si gioca la partita per l’evoluzione di tutto il nostro sistema-Paese che può aiutare concretamente ad abbattere il pay-gap di cui stiamo discutendo.

Dall’estero spesso ci viene detto che l’impatto della figura femminile nella società italiana è assolutamente importante. Come ti immagini il contributo delle donne nel nostro Paese fra vent’anni? La professionista italiana può fare da riferimento internazionale, e in che termini?

Siamo figli di una cultura diversa da quella delle generazioni precedenti, quindi è vero che la donna italiana sa far sentire la sua voce. In futuro, ritendo che il ruolo della donna aumenterà di importanza anche nelle industrie, anche se attualmente peccano gli esempi di imprenditoria femminile.

Ecco, su questo torno a ribadire che dovremmo tutti cercare di lavorare più come “imprenditori”  e “imprenditrici”, che come professionisti o consulenti, se vogliamo fare da riferimento internazionale.

Passiamo ai percorsi di carriera: qual è la tua esperienza personale, sia come recruiter, che come imprenditrice.

Io ho iniziato a lavorare in questo settore, come consulente, a 23 anni, appena laureata. Essendo quello di vent’anni fa un ambiente molto diverso da quello attuale, ricordo ancora le facce dei clienti e dei colleghi che vedevano questa ragazza affacciarsi in un mondo tipicamente maschile.
C’è voluto impegno e caparbietà, a partire dalla decisione di avviare una mia azienda nell’ambito della gestione organizzativa e delle risorse umane e, devo dire, che di strada ne ha fatto tutto il settore, che oggi gode di una presenza di recruiter donne altissima.

In merito al punto di vista  che godo come esperta sui percorsi di carriera, posso solo aggiungere a quel che raccontavo poco fa come le nuove generazioni di donne siano più motivate di qualche decennio fa, e quanta intelligenza sociale dimostrino. Due qualità molto premianti e su cui consiglio di puntare.

Skill Risorse Umane _ ASSOCRESCITA

A proposito di consigli, quale è il miglior suggerimento che hai dato, in tutti questi anni di esperienza con le imprese, ad una tua azienda cliente al di là del mandato?

Si tratta di un consiglio che come Skill Risorse Umane diamo spesso alla partenza di un percorso di selezione: cioè quello di mantenersi liberi da pregiudizi, in tutti i sensi: nel senso dei generi legati al ruolo, ma anche nel senso dell’appartenenza a etnie differenti oppure ancora nel senso di scoprire, proprio in azienda, di avere già le competenze che si stanno andando a cercare fuori.

Consigliamo, inoltre, di valutare sempre prima le condizioni per premiare qualcuno all’interno, anzichè avviare un percorso di selezione a priori, e spesso questo assessment rivelano sorprese che, forme varie di pregiudizio, non permettevano di svelare.

E ti è mai successo che un cliente abbia avuto un’aspettativa precisa di risultato, volendo guidare in qualche modo il lavoro di consulenza?

Sì! Capita spesso. In questi casi il mio suggerimento è mettere a a disposizione l’esperienza e i risultati.
Gli imprenditori si convincono con i numeri, con i budget, e al di là della nostra empatia e della nostra persuasione, sono i numeri che possono aiutare a convincere il cliente di quanto stiamo facendo per lui.
Documentare con indagini retributive perché il budget per un ruolo è inadeguato, ad esempio, aiuta sempre a ristabilire un equilibrio nel lavoro di consulenza e di ricerca che conduciamo per l’azienda cliente.

E sai cosa ti dico? Che questo è ciò a cui mi riferisco quando dico che dovremmo farci ispirare dai mercati anglo-sassoni e dalla loro attitudine al risultato e alla misurazione oggettiva.
Non possiamo parlare con le aziende portando le nostre idee di pancia, le nostre esperienze discrezionali. Abbiamo bisogno anche di comprovarle da oggettività. Di fronte a queste, nessun cliente di solito continua ad insistere con le aspettative precise di risultato, e si lascia invece guidare. Per noi, è questo il grande risultato.

Per concludere, qual è la tua visione in Associazione CRESCITA?

I miei colleghi lo sanno già: per me, tutti i soci dovranno crescere sempre più come imprenditori di una società di consulenza, che come consulenti. Questo permetterà di cambiare completamente l’atteggiamento verso il settore e il cliente, e in termini di migliore posizionamento sul mercato. Accetteranno la mia sfida?

 

Staremo a vedere. Ma noi siamo sicuri che il contributo di Laura Iacci, proprio come in questa interessante intervista, ci darà molti spunti su cui riflettere e di… crescita.